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sabato 9 febbraio 2013

Divergenze-divergenze Tra Il Compagno Bersani E Me - Del Conseguimento Dell'Austerità


Berlino, 5 Febbraio 2012

Signor Presidente, Signore e Signori
desidero innanzitutto ringraziare il German Council on Foreign Relations per questa opportunità di condividere con voi alcuni pensieri sul futuro del progetto europeo, su come esso è vissuto nel mio Paese, l’Italia, su come lo interpreta il Partito Democratico, la forza politica progressista che ho l’onore di guidare e che mi ha candidato con la coalizione di centrosinistra “Italia bene comune” al governo del Paese alle prossime elezioni politiche, dopo elezioni primarie cui hanno partecipato oltre 3 milioni di persone.

- 'Stica***....

Questa mia visita a Berlino avviene alla vigilia di un importante Consiglio Europeo dedicato, fra l’altro, a tentare di chiudere positivamente il negoziato sul prossimo bilancio pluriennale;

-...che andrà da panico, ovviamente.

cade a tre settimane dal rinnovo del Parlamento italiano, e all’inizio dell’anno in cui anche il vostro Paese si recherà alle urne.
A ottobre terminerà così un ciclo di diciotto mesi durante i quali i cittadini di Francia, Italia e Germania (200 milioni di persone e oltre il 60% del Pil dell’Eurozona) si saranno espressi sul futuro politico dei propri Paesi.
L’Italia, come sapete, è sempre stata, fin dalle origini, un Paese fortemente europeista, pronto più di altri, specie nei momenti difficili, a rinunciare a qualcosa di sé pur di fare avanzare la costruzione comune. 
C’è in noi la memoria profonda e antica di cosa è stata la storia di questo continente prima che iniziasse il cammino della nuova Europa. 
Come ricordava l’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi: “ci sono 50 milioni di ragioni, cioè i cinquanta milioni di morti della seconda guerra mondiale per essere a favore di una maggiore integrazione”.
Credo sia ancora giusto partire da lì, dal ricordo di come un continente distrutto, affamato, impaurito sia diventato nel mondo, nell’arco di tre sole generazioni, l’area che ha cancellato dalla propria cultura politica la tentazione che la guerra possa essere uno strumento di affermazione della propria potenza e di risoluzione delle controversie,

-Sì, beh, giusto quel paio di eccezioni, per dire Serbia, Afghanistan, Libia, Iraq, ora il Mali.
Ma nessuno è perfetto, del resto.

 l’area più ricca del pianeta e al contempo la meno diseguale,

-Intendi la Grecia?

 l’area dove i nostri figli possono crescere senza timori già “europei” viaggiando da una capitale all’altra per studiare, visitare musei, stringere amicizie.

-Sempre bella Atene d'estate...

L’integrazione europea è stata da molti secoli a questa parte la più grande storia di successo di costruzione pacifica di una sovranità condivisa, di trasformazione delle cause di potenziale conflitto in fattori di crescita comune, il modello concreto che più si è avvicinato all’ideale kantiano di comunità internazionale.
Se così non fosse, non si capirebbe come mai questa è l’unica organizzazione che ha visto triplicare negli ultimi trenta anni i suoi Stati membri, che ha Paesi che bussano alle sue porte per entrare, 

-E la Gran Bretagna vorrebbe uscire? Perfida Albione.
Anche altri tirano un sospiro di sollievo, però...

che continua ad aggiornare instancabilmente le proprie regole.
Io ritengo che per il mio Paese, per l’Italia, tuttora, il massimo interesse nazionale coincida con il proseguimento dell’integrazione.

-Più Europa. Più Europa. Più Europa. Più Europa. Più Europa. Più Europppp. PiEùrrroppp...

L’Europa ha allargato i nostri mercati, ha cambiato la cultura delle nuove generazioni,ha rappresentato spesso il “vincolo esterno” - pur liberamente assunto - che ci ha obbligato a riforme necessarie. 

-Grazie a nome di Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna, Grecia ed Italia. Ottimo lavoro.
 E comunque, assunto liberamente da chi?

Perciò lavoriamo anche oggi per raggiungere l’Europa massima possibile, non per convivere con quella minima indispensabile.

Arriviamo alla stessa conclusione anche guardando con realismo il mondo nuovo attorno a noi. Non servono argomentazioni ricercate per comprendere che come attore globale l’Unione Europea – non dimentichiamo mai che è solo il 7% della demografia globale - pesa di più delle nostre singole ambizioni nazionali. E poi, dalla Cina agli Stati Uniti, per ragioni sistemiche e per una più corretta distribuzione delle responsabilità, tutti chiedono “più Europa”, una domanda che spesso proprio noi non siamo in grado di corrispondere. 
E’ finito il tempo in cui i grandi attori globali preferivano avere a che fare con ciascun Paese europeo singolarmente. Dunque nessuno, oggi, può desiderare per ragioni di equilibrio generale che l’area di pace costruita attorno a noi, la piattaforma europea economica e industriale, il vasto mercato interno si possano indebolire o disgregare. 

-...Eccetto ovviamente chi sta parlando, quelli che lo ascoltano, la totalità della classe politica italiana e la maggioranza di quella europea.

Tuttavia, con altrettanto realismo, non possiamo nasconderci che l’Europa affronta da due anni una sfida esistenziale, che l’Europa ha balbettato davanti alla crisi, che la crisi dell’economia europea ha rischiato di azzoppare gli sforzi americani per una strategia della crescita, che l’europeismo tradizionale è oggi assediato da fenomeni populistici che rimettono in discussione l’intero percorso,perfino agitando qua e là fantasmi di un passato da non rivivere: dall’Ungheria di Orban ad Alba Dorata in Grecia, alle formazioni razziste di estrema destra che da nord a sud mietono nuovi consensi.

-Capito? Loro hanno solo balbettato, mica c'entrano nulla se arrivano i nazi.

Non è questa la sede per raccontare come e perché è arrivata la crisi,

-No, ma fra alcuni mesi potresti doverlo spiegare ad auditori meno acquiescenti...

 come avremmo potuto agire più celermente e con minori costi, per ricordare i ritardi di analisi e di reazione. 

-O magari per evitarla proprio.

Anche il mio Paese ha le sue responsabilità. 

-Oddio. Sta per dirlo. 

Esso non ha approfittato, come invece la Germania, degli enormi vantaggi scaturiti dall’arrivo dell’Euro, ha sprecato anni importanti non facendo le riforme necessarie e si è trovato più vulnerabile all’arrivo della tempesta. La storia la conoscete bene. E sapete anche bene chi guidava in quegli anni il governo dell’Italia.

- Ah ecco mi pareva. Un'analisi critica perfetta della crisi: colpa del Berlusca e dei bruti italici che lo han votato. Eh avessimo bravi governanti tedeschi..
Loro sì che sono bravi e leali, mercantilismo coatto a danni dei partner commerciali a parte, s'intende.

Perciò non è superfluo ricordare che dopo quella fase, una lunga fase, di un populismo che ha più volte scherzato col fuoco dell’antieuropeismo, e che ha bruciato in parte la credibilità del mio Paese, noi – il mio partito – già impegnati con Romano Prodi al tempo del raggiungimento del traguardo della moneta unica, siamo stati nuovamente attori decisivi della tregua politica dell’ultimo anno e mezzo, e del percorso di risanamento, faticoso e indispensabile.

-è fantastico come riesca a vantarsi di aver portato al collasso economico un Paese grazie alle meravigliosa idea del cambio fisso.

Il governo tecnico di Mario Monti – esperienza non nuova in Italia ma che sempre richiede la generosità delle forze politiche più responsabili di fare un temporaneo passo indietro – è stato da noi voluto, è stato lealmente sostenuto in Parlamento nonostante le insofferenze della destra, è stato spesso migliorato nei contenuti della sua azione per corrispondere meglio a una realtà socio-economica complessa, è stato spiegato pazientemente ai cittadini che soffrivano la durezza delle misure, evitando così quelle tensioni sociali che si sono viste altrove.

-Meno male che c'erano loro a migliorarlo, chissà a che punto eravamo sennò...Comunque, non c'è bisogno di ribadire che siete collaborazionisti.

In tutto questo c’è stato l’impegno generoso del mio partito, che ha messo l’Italia prima dei suoi interessi politici ed elettorali.
Siamo arrivati così, alla vigilia delle elezioni, consapevoli del lavoro svolto e soddisfatti per l’avvio dell’ennesimo risanamento nazionale per il quale l’Europa – è giusto ricordarlo - non ha versato un solo euro, ma che ha visto invece l’Italia nella posizione di terzo contributore netto per il sostegno delle crisi altrui. 

Siamo arrivati qui, però, con un conto pesante. 
L’Italia raggiungerà il pareggio di bilancio quest’anno, secondo gli impegni assunti inconsapevolmente dall’on.Berlusconi, caso quasi unico in Europa. Il Paese ha girato il 2012 con un avanzo primario di oltre il 4% del Pil, uno dei più alti al mondo,

-Ottimo, peccato che questo abbia portato a....

 ma sconta ancora un debito risalito a oltre il 120% del Pil, una recessione attorno al 2,5%, la perdita di 700.000 posti di lavoro.

-....aggravare la crisi ancora di più, esatto! Bravo Pier, hai imparato che il moltiplicatore fiscale non fa così schifo eh? Ma in fondo lo sapevi anche prima....hai solo tradito i tuoi elettori.

La strada è ancora lunga. Anche nel 2013 si prevede una recessione di quasi un punto che si trasformerà forse in crescita positiva solamente dal 2014.
Sono numeri che si commentano da soli e che indicano già un percorso.

-Come no, quello verso l'uscita, ma a quanto pare voi ed il resto dell'attuale classe politica italiana non volete imboccarlo...

Sappiamo di dover garantire l’impegno per la stabilità.
Sappiamo di dover proseguire il cammino delle riforme. 
L’Italia ha bisogno di profondi cambiamenti, partendo da una diversa moralità pubblica.
Abbiamo l’ambizione di ingaggiare nuovamente le giovani generazioni e tutte le forze più dinamiche della nostra società, l’impresa, la ricerca, l’innovazione,per rimettere in movimento l’Italia, per scommettere sul futuro. La politica da sola, come semplice arte tecnica del governo, non basta a modificare profondamente, e con il consenso, gli equilibri sociali.
Serve coraggio in chi guida, ma anche la capacità di ascoltare una società e di convincere sulle finalità positive di un cambiamento.

Siamo consapevoli che la stabilità e il rigore sono condizioni necessarie in un tempo di crisi economica,quando i partner di un’impresa comune come quella europea devono essere rassicurati sulla credibilità e affidabilità degli impegni assunti.

-Sono convinti sulla base degli ottimi risultati ottenuti, immagino.

Pensiamo altresì che il completamento del mercato unico possa facilitare la ripresa e la crescita. 
Ricordo che quando ero Ministro dello Sviluppo Economico nel governo di Romano Prodi nel periodo di avvicinamento all’Euro, questo processo aveva come riflesso la spinta a politiche strutturali comuni, nel campo dell’energia, dei programmi di ricerca e di innovazione, delle politiche ambientali. L’arrivo della moneta non era disgiunto dalla percezione che dovevamo contemporaneamente fare dei passi avanti sui temi strutturali. 

-Sarei curioso di sapere a cosa si riferisce. Forse al pacchetto Treu.

Così oggi, mentre si perfezionano gli strumenti della disciplina monetaria e fiscale comune, deve riprendere l’impulso per un completamento del mercato unico.

-Com'è noto, una cosa prima la si sfascia e poi la si completa.

Ricordiamoci poi che davanti a noi c’è anche la sfida dell’accordo di libero commercio fra Unione Europea e Stati Uniti, e fra Unione Europea e Mercosur, un doppio appuntamento molto significativo per le nostre economie.

Stabilità, rigore e completamento del mercato non sono però sufficienti se non riparte una strategia di investimenti e di crescita su scala continentale, se non si consente di liberare risorse nazionali per investimenti concordati con i vertici europei, se non si permette – come accade in Italia al sistema di governo locale – di spendere risorse fresche e immediatamente disponibili per un eccesso di vincoli del Patto di Stabilità.

-Se il rigore non basta, occorrono investimenti: è la favola dell'austerità espansiva, l'ossimoro supremo, un po' come Bersani di sinistra.

Non è solamente una questione italiana, anche se la recessione della seconda economia manifatturiera dell’Unione riverbera i suoi effetti su tutti i mercati.
Crescita e occupazione non sono un lusso da rinviare a domani. 

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Noi abbiamo apprezzato lo sforzo contenuto nel rapporto promosso dai Quattro Presidenti “Verso una genuina Unione Economica e Monetaria”e abbiamo seguito passo passo le decisioni adottate nel corso del 2012. Si tratta delle scelte che avrebbero dovuto sviluppare i quattro “building blocks” del progetto: unione bancaria, unione fiscale, unione economica e il rafforzamento della legittimazione democratica dei processi decisionali della zona euro. 

Sono evidenti i rilevanti passi avanti compiuti sul tema dell’unione bancaria, ma è difficile mascherare la delusione verso la progressiva riduzione delle ambizioni iniziali.

-Non dirmelo, guarda, i greci sono lì che si rodono il fegato per l'unione bancaria incompleta...

In materia di unione fiscale e controllo dei bilanci nazionali, dopo il Fiscal Compact e i vari “packs”, si è spento il dibattito politico sulle possibili forme di mutualizzazione di parte del debito (sia gli eurobonds sia il cosiddetto “redemption fund” pensato proprio qui in Germania) e anche l’ipotesi di una “fiscal capacity”, di un bilancio autonomo pur limitato all’Eurozona, è rimasto a uno stadio tutto preliminare. Così come una strategia comune a favore degli investimenti e del lavoro non ha ancora trovato concretezza e dimensione sufficiente.

-...E sai perchè cocco? Perché non la si voleva trovare. Cosa pretendi, mercati del lavoro omogenei? 

 E’ a fronte di questa strategia che noi siamo pronti a costruire ulteriore corresponsabilità rispetto ai bilanci nazionali.

-Ricordatevela questa, quando fra qualche mese arriverà la prossima stangata.

Ancora prima si è fermata la riflessione sugli strumenti possibili di convergenza delle politiche economiche e sui processi di legittimazione democratica nell’Eurozona.

Hanno sicuramente pesato in questo senso l’attesa per le elezioni in alcuni grandi Paesi, attesa che - temiamo - proseguirà per tutto quest’anno, e il timore di attivare strumenti e regole che comportassero di mettere ancora mano ai Trattati.
Se dunque resta un dubbio sostanziale rispetto a questo cammino, esso riguarda il tempo lungo che richiede. Il momento peggiore della crisi è sicuramente passato

-Sfotte pure.

 ma non sono sicuro che questo lungo calendario ci metta al riparo da crisi future. 

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La discussione sull’architettura politica dell’Unione Europea non ha mai appassionato i cittadini. Ne siamo consapevoli.

-Davvero? Ma chi ha chiesto qualcosa a chicchessia? Ve la cantate e suonate sempre da soli, voi furbetti.

Paradossalmente, proprio l’area più integrata, la zona Euro, ha costruito la propria governance attuale su un insieme di strumenti intergovernativi – il più importante è l’Euro summit- mentre quella meno integrata che la circonda, quella del mercato unico, si sostiene ancora mediante strumenti più comunitari.

L’emergenza dell’area Euro ha alimentato politicamente un circuito vizioso fra allargamento dei populismi che non riconoscono legittimità democratica alle scelte di Bruxelles e ricorso crescente a governi e decisioni tecniche, stante la difficoltà di superare nelle forme tradizionali e democratiche le necessità imposte dalla crisi.

-Mannaggia alla democrazia eh Bersy? Tutti quei sindacati e quelle parti sociali...Non si può mai fare niente! 

Così oggi, noi pensiamo sia giusto superare un modello solamente intergovernativo, poiché l’assenza di una prospettiva di sovranità democratica su scala europea genera entropia, dispersione, ripiegamenti nazionali, insomma la tentazione dell’assalto finale alla cittadella del sogno europeo.

Come intendiamo agire, noi progressisti italiani, davanti a questa situazione? 


-Giusto, come volete agire voi reazionari italiani davanti a questa situazione?

Sul piano dell’orizzonte ideale, abbiamo indicato con semplicità l’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa. Un’affermazione non scontata in questi tempi.

Dietro una moneta sola deve esserci un solo sovrano.

-Amen. E pazienza se la moneta unica è anti-democratica. Vorrà dire che lo sarà pure il sovrano.

Non immaginiamo il super Stato europeo paventato strumentalmente in alcuni Paesi e agitato dai populismi nazionalisti. Io penso a un potere federale democraticamente legittimato, dotato di un bilancio con risorse proprie, capace di svolgere specifiche funzioni, dotato di una Banca Centrale e di un Tesoro, competente sui temi indispensabili nella scala globale come la difesa, la politica estera, le migrazioni, la ricerca, l’energia, le reti infrastrutturali. 

-Eh, il 'fogno' europeo...sogna Pier, sogna...

Questo obiettivo di lungo termine pone una domanda ineludibile, cioè quali quote di sovranità gli Stati nazionali sono disposti a cedere per raggiungere questa sovranità post-nazionale. 

-Facciamo così: vi diamo tutta la sovranità che vi pare e voi potrete anche eleggere Mario Draghi Imperatore la notte di Natale facendolo incoronare dal Papa; in cambio Frau Merkel e compari smollano 257 mld di Euro all'anno ai paesi del Sud Europa, il minimo indispensabile calcolato da Jacques Sapir per poter sopperire agli squilibri dovuti all'effetto del cambio irreversibile (leggasi Euro) tra economie nazionali eterogenee.

Una sovranità efficace, ancorata alla vera scala dei problemi odierni. Perché o la sovranità arriva alla dimensione dei problemi di oggi, o può esserci solo l’illusione della sovranità.

Dovremo trovare la sede per rispondere a questo problema. Alla fine, si porrà il tema di una nuova Convenzione per discutere di noi stessi e decidere insieme del nostro futuro. Capisco le paure di chi teme l’apertura di un vaso di Pandora e ricorda l’impasse istituzionale di dieci anni fa, ma non possiamo nemmeno pensare che urlino solamente gli euroscettici e che i sostenitori di un’Europa federale e politica tacciano. Che di fronte a noi ci sia solamente la scelta tra fare avanzare segretamente il progetto europeo in nome dell’emergenza o retrocedere pubblicamente in modo clamoroso quando, e se, sfidati da un referendum. 

-Oddio no, il referendum no...lo strumento peggiore dei nazional-populisti!

E’ una questione di responsabilità che alla fine si porrà. 
Nel frattempo, vedrei volentieri, se- ad esempio il parlamento italiano e quello tedesco – convocassero un’assise congiunta sul futuro dell’Europa, aprissero una discussione politica. La predisposizione dell’Italia e della Germania verso una più genuina unione politica potrebbe essere un buon modello per altri.
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ci ha invitato più volte a investire maggiormente nella costruzione di una sfera politica europea.

-Se lo dice Giorgio allora ci credo.

Il demos europeo non può che forgiarsi nel fuoco di una battaglia politica democratica e continentale. E’ questa la strada per superare la spirale fra populismi e tecnocrazie.
Il consolidamento di un campo europeista e progressista, nel quale ci sentiamo collocati, è parte integrante del progetto di costruzione dell’Europa politica. E riguarda la mia come le altre famiglie politiche europee.

Con le regole attuali, intanto, potremmo fare già alcune scelte importanti: indicare prima del 2014 i candidati alla Presidenza della Commissione, magari anche l’alto Rappresentante della Politica Estera, lavorare per farli eleggere direttamente e, comunque, lanciare il tema, consentito da Lisbona, della unificazione delle funzioni di Presidente della Commissione con quelle di Presidente del Consiglio, avendo così una prima figura pilota di “Presidente dell’Europa”.

-Utile.

Noi, i Paesi dell’Eurozona, abbiamo il dovere di affrontare queste scelte con più coraggio, chiederci quali passi siamo disponibili a fare per evolvere verso una più stringente unione politica.
E’ la crisi stessa che ci richiama a questa esigenza di coraggio. O l’Europa riuscirà a proporsi all’opinione pubblica come la chiave di soluzione concreta dei problemi e come prospettiva credibile, o l’idea stessa di Europa verrà messa in discussione. 
L’Eurozona in particolare dovrà inoltre riflettere sul rapporto con i Paesi che non ne fanno parte, specie con alcuni di questi. E’ evidente il riferimento, e non solo per le vicende degli ultimi giorni, al Regno Unito di David Cameron.

Per secoli la Gran Bretagna ha vissuto con l’idea, più che legittima, di dover evitare che l’Europa continentale trovasse un proprio solido accordo poiché questo avrebbe messo in discussione il suo ruolo internazionale. 
Un riflesso così antico, non solo non scompare da un giorno all’altro ma è tornato fuori oggi più forte che mai. Londra si è chiamata fuori dai più indicativi traguardi dell’ultimo decennio - l’Euro, Schengen, la Carta Sociale, il Fiscal Compact – 

-Beati loro...

e oggi invita l’Eurogruppo ad andare avanti con la propria integrazione, riservandosi una decisione dopo un dibattito che impegni la propria opinione pubblica.
Noi abbiamo un’idea diversa di cosa sia una “sovranità efficace” nel mondo di oggi e ci piace l’espressione con cui un grande scrittore inglese, Geoffry Howe, definiva Robinson Crusoe nella sua isola: “padrone di tutto ma sovrano di niente”.

-In pratica il popolo non capisce una mazza, meglio che decidano loro che la sanno lunga.
Si fotta la democrazia.

Come si è compreso, noi siamo perché, senza indugi, il nucleo dell’Eurozona decida passi di successiva integrazione. Ad esempio,su un tema come quello della difesa, che è elemento chiave di un’Europa politica adulta, e di una rinnovata amicizia transatlantica è ovvio che sarà in ogni caso necessario trovare una modalità di rapporto con il Regno Unito.

Signor Presidente, Signore e Signori, 
questi due anni, l’Unione Europea ha sofferto la crisi della propria principale materia prima: la solidarietà. 
La conferma più evidente viene dal difficile negoziato sul bilancio dei prossimi giorni. A forza di comportarsi con realismo, il realismo ha sconfitto il buon senso. L’Unione rinvia da troppo tempo una decisione strategica su un bilancio fondato davvero su risorse proprie, e così inciampa in un negoziato sul filo dell’impossibile. 

Il metodo dei contributi nazionali, dove alcuni governi nazionali per primi, inevitabilmente seguiti da quasi tutti gli altri, interpretano il negoziato solo in termini di costi/benefici, dato/ricevuto, pretendendo un rimborso in caso di sbilanciamento eccessivo, ha reso questo esercizio pari alla quadratura del cerchio.
Finora, l’Italia rischia di divenire per il futuro il primo contributore netto, in proporzione al proprio reddito, con un disavanzo di oltre 6 miliardi di euro e con il paradosso di dover pagare il rimborso a Paesi che hanno - secondo i dati della Commissione - un indice di prosperità più alto. 
Si tratta di una posizione insostenibile anche per un europeista convinto.

-Eh, mica gliele manda a dire Bersy....è un Leader Maximo lui. Ha il sigaro.

Infine, Italia e Germania hanno sempre puntato sull’integrazione europea ed è giusto che proseguano assieme questo percorso, in forte spirito di amicizia e di collaborazione.
La Germania di oggi può portare nell’Unione Politica federale di domani la forza del proprio successo economico ma anche quella del proprio modello sociale e istituzionale. Non ci sono modelli alternativi né all’economia sociale di mercato, qui condivisa da decenni da tutte le principali forze politiche, né a una vita istituzionale ben organizzata sul principio di sussidiarietà.

'Economia sociale di mercato'. Si impara sempre qualcosa.

Eppure ci sembra di vedere una riluttanza ad assumere un ruolo di leadership politica.
Per l’Europa di domani, noi auspichiamo invece che la Germania sappia assumere quelle responsabilità, voglia andare oltre la stella polare del suo formidabile rapporto con la Francia,

-...attendi un annetto e sarà un po' meno formidabile, vedrai.

 e sappia riconoscere che il suo successo economico nel mercato globale sarebbe maggiore e strategicamente più sicuro se il nostro continente avesse un mercato unico compiuto e meno squilibrato, se ci fosse un mercato europeo più dinamico e propulsivo.
Il nostro Paese, il mio partito,confermano anche qui la consolidata tradizione di amicizia che fa della Germania il nostro primo partner in termini economici, culturali, politici.
Noi siamo interessati a sospingere verso nuovi obiettivi l’integrazione delle nostre economie, la collaborazione per l’innovazione, gli investimenti, il lavoro.
Consentitemi su questo una nota personale. Ho governato per lunghi anni l’Emilia Romagna, la regione italiana forse più integrata con la Germania sul piano produttivo e industriale. Mi è rimasta la ferma convinzione che lavorando assieme ancora più strettamente ci daremo un futuro più sicuro.

-Stretti stretti, con un bel cappio.

Signor Presidente, Signore e Signori,
Tommaso Padoa Schioppa, un nostro grande europeo con cui ho condiviso responsabilità di governo, invitava i giovani a prendere l’Europa come punto di riferimento, a superare la “malinconia” di questo tempo, li spronava a “guardare in alto, dentro se stessi”. 
In questo tempo difficile, l’Italia progressista dei democratici è pronta a ripartire proprio da lì.

-...Ma ci penserete voi a bloccarla ancora per un po'.

Grazie per la vostra attenzione. 

Auf Wiedersehen!

domenica 21 ottobre 2012

Il Mostro

Lo Stato italiano

Una belva feroce si aggira per l'Europa.
Un mostro peggiore di una voragine infernale o di un abisso lovecraftiano.
I Cavalieri del Mercato Chicco Testa e Michele Boldrin lo hanno smascherato. Si tratta in realtà dell'elefantiaco, opprimente, tiranno Stato italiano. Ricercato dalle autorità da anni, ne è stato dato un identikit, nella foto, ma soltanto alcuni dei suoi temibili collaboratori, come Er Batman, sono stati catturati.
Come i nostri Cavalieri annunciano, è lui la causa della crisi in italia: bisogna smantellarlo, rottamarlo, annientarlo, polverizzarlo, perché non è mai stato fatto...o no?
Citiamo alcuni esempi di marginalissime privatizzazioni/liberalizzazioni, a braccio:

-Autostrade: ora monopolio privato;
-Telecom: vedi sopra;
-SME: in attivo fino ai '90, smembrata e svenduta a pezzi a colossi alimentari quali Barilla e Nestlè;
-Assicurazioni RCA, ora tra le più care d'Europa dalla metà degli anni '90 costi più che raddoppiati;
-ENI: da sempre ha bilanci in attivo, ma dalla privatizzazione ha dimezzato il numero dei dipendenti;
-IMI, istituto di credito in attivo di oltre 400 mld di lire nel '93, privatizzato e poi fuso con la San Paolo di Torino.

Poi si potrebbero pure citare altri asset strategici (massì parliamo come i Cavalieri del Mercato) tipo Alfa Romeo, Alitalia, BCI, buona parte di Enel e molte altre partecipazioni IRI.
Per tutti questi incredibili successi bisogna ringraziare tante persone..
Culturalmente parlando l'ordine dei Cavalieri del Mercato, sempre attivo ed impegnato in operazioni simpatia, mentre politicamente si potrebbero citare la Comunità Europea, il trattato di Maastricht nonché l'ex presidente dell'IRI Prodi, l'ex ministro Andreatta, i governi (ancora) Prodi, D'Alema, Berlusconi...degni predecessori degli attuali "tecnici", tutto sommato.
La verità è che le cosiddette liberalizzazioni hanno fallito miseramente, permettendo di fare (poca) cassa e ottenendo servizi peggiori (lo si può negare?) e costi maggiori.
Solo chi ha gli occhi foderati di ideologia può pensare che affidando tutto al Dio Mercato si possa risolvere ogni problema: ma davanti alla realtà si scopre come la Concorrenza sia un'utopia persino più irraggiungibile di quella comunista.
I ladri in Parlamento (e in Senato), nelle Regioni, la questione morale e la pulizia nella politica sono sacrosante, ma economicamente parlando non sono nulla rispetto alle scelte ideologiche liberiste che sono state compiute negli ultimi 20-30 anni e che hanno contribuito a portarci alla crisi attuale.

lunedì 8 ottobre 2012

Fregnacce olimpiche


Da un po' non scrivo post, per motivi vari, il più importante dei quali è che non ne avevo voglia. Però quando leggo questa roba mi sale la bile ed è dura trattenersi.
Cominciamo col dire che, come spesso accade, quando si mente spudoratamente, si è obbligati a citare anche qualcosa di vero, sostanzialmente per manipolarlo.
Questo è ciò che fa il buon Scacciavillani sul Fatto Quotidiano, come molti altri suoi compari sui maggiori quotidiani italiani.
Cominciamo quindi con una smentita: in Grecia NON vi sono più impiegati pubblici fannulloni che in tutti i paesi dell'UE (o del mondo), anzi,  non vi sono nemmeno più impiegati pubblici (fannulloni o meno): guardate i dati OECD riportati dal prof.Bagnai di Goofynomics: la Grecia sta ben dietro ai 'virtuosi' finlandesi, olandesi, belgi e persino ai tedeschi, quando si guarda agli impiegati statali veri e propri (cosa diversa dai dipendenti di aziende pubbliche, che spesso operano comunque in regime di concorrenza).
Anche il grafico riportato dal gioioso Scacciavillosi è inesatto: la spesa primaria , ossia la spesa pubblica che dipende direttamente dall'azione dei governanti di un paese, (al netto degli interessi) è infatti rimasta nettamente inferiore a quella di altri paesi come Finlandia, Francia, Belgio, Francia e persino...Germania.
Vedete qui i dati o se preferite dal database del FMI. Ma un dubbio rimane: se il deficit pubblico è aumentato così tanto in Grecia, come illustrato dal simpatico Scacciavillici e la spesa primaria non è cresciuta sensibilmente, di chi è la colpa?
Semplice, della spesa per interesse, vedete? Non c'entrano una cippa gli stadi olimpici o gli "impiegati pubblici che votano il caporione di turno" (cit. dall'amico Scacciavillini).
Gli interessi salgono a causa della dimensione del debito, rispetto al PIL, che è per Italia e Grecia enorme da almeno 30 anni. Perchè allora la crisi scoppia negli ultimi 5 anni e non solo per noi ma per chi aveva un debito pubblico ben inferiore come Spagna ed Irlanda?
Il bravo Scacciavalloni ci mostra in effetti un bel grafico che analizza il saldo delle partite correnti dei "cugini di spreco": ma allora vuoi vedere che il problema della crisi non sta nei conti pubblici ma nel settore privato? E come mai proprio dal 1999? Sono diventati improvvisamente più pigri? Come no, nel 2005 infatti i greci sono stati i cittadini europei che han lavorato di più...
Vuoi mai che sia stata l'entrata in vigore come valuta di cambio dell'euro? Che ha causato un massiccio calo delle esportazioni ed un aumento delle importazioni dalla Germania e dai paesi del Nord Europa?
Non è che ce l'abbia con il bel Fabio "Giorg Cluni" Scacciavilleggianti, però trovo che non sia bello dare dei fannulloni, delle pecore e degli incapaci che producono solo "due formaggi, un po’ d’olio e qualche alcolico imbevibile" ad un'intera nazione.
Tutto qui.

martedì 14 agosto 2012

Abbronzatura da paura...


impianti ILVA Taranto

"...con la diossina dell'ILVA.
Qua ti vengono pois più rossi di Milva e dopo assomigli alla Pimpa" 
                                                                                         Vieni a ballare in Puglia, Caparezza

Non c'è alcun scontro tra politica e magistratura. Non c'è alcun protagonismo da parte dei giudici. 
Ci sono invece due perizie, una medica ed una epidemiologica, depositate a Febbraio di quest'anno nell'ambito del processo che vede indagati i titolari ed i vertici dell'ILVA di Taranto per innumerevoli 
capi d'accusa.
Le perizie hanno certificato ciò che già si sapeva da decenni ossia che gli impianti delle acciaierie un tempo appartenenti all'IRI (statale) ed ora del Gruppo Riva uccidono.
Le conclusioni delle perizie, che prendono in esame i dati dell'inquinamento nel periodo 2004-2010, 
sono un pugno nello stomaco. Solo per citare un dato, nei quartieri Borgo e Tamburi che sono i più 
vicini alla fabbrica, ben 91 decessi l'anno sono attribuibili al superamento della quantità di polveri 
PM10 nell'aria. 
Oltre alle malattie per cause respiratorie, sugli abitanti dei quartieri vicini alle acciaierie risultano 
ben superiori alla media anche le incidenze di patologie cardio-vascolari e tumorali.
Ma a quanto pare al governo dei "tecnici" le perizie non interessano, così come a certi presunti sindacati che preferiscono vedere gli operai al lavoro, produttivi ed avvelenati.
Il sequestro degli impianti è invece un atto dovuto da parte del gip Patrizia Todisco, se ancora vige l'art.41 della Costituzione e se non si vuole creare un pericoloso precedente in cui si antepongono
il profitto privato e l'occupazione alla salute ed alla vita dei cittadini italiani.

sabato 28 luglio 2012

Appello: firmate il declino!

La Mano Invisibile

Oggi su diverse testate è stato pubblicizzato un Manifesto contenente 10 proposte per "Cambiare la politica, fermare il declino e tornare a crescere" in Italia.
La proposta si declina come "non ideologica" e né di destra né di sinistra, tantomeno di centro.
Certo a giudicare dai promotori e dagli aderenti qualche dubbio potrebbe sorgere: abbiamo diversi appartenenti al Tea Party Italia, Confindustria, Italia Futura, Adam Smith Society...
Ahi ahi, qui c'è puzza della cara vecchia Mano Invisibile (nell'immagine), che negli ultimi anni sta suonando ceffoni un po' tutti, in particolare a chi è carente di pecunia.
Insomma stiamo parlando delle care vecchie ricette liberiste - Stato, + Mercato. 
Per divertirci, commentiamo le proposte una per una:
  1. Massì, facciamo grano facile: cominciamo a vendere il Colosseo, che ce ne facciamo?
  2. Dagli con la spesa pubblica: ma quindi se diminuiamo non di 6 ma di 30, o 50 punti percentuali il debito pubblico ed arriviamo al 70% del PIL come la Spagna saremo fuori dalla crisi come loro? Comunque non preoccupatevi con un po' di concorrenza tra gli ospedali la sanità funzionerà benissimo. Strano che quei comunisti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità non capiscano...
  3. Bello, tagliamo le tasse e combattiamo l'evasione fiscale. Fantastico. Non ci aveva mai pensato nessuno.
  4. Meno male che è un manifesto non-ideologico. Addirittura il principio Sacro ed Inviolabile della Concorrenza nella Costituzione! Poi tutto andrà bene, perché il Mercato funziona.
  5. "Il pubblico impiego deve essere governato dalle stesse norme che sovrintendono al lavoro privato introducendo maggiore flessibilità sia del rapporto di lavoro che in costanza del rapporto di lavoro" che in italiano si traduce in "più precarietà per tutti". Tanto il sussidio di disoccupazione non te lo diamo, poveraccio, perché sennò sale il debito pubblico!
  6. Una legge sul conflitto d'interessi...Affascinante. Però poi si parla solo dei conflitti d'interessi dei dirigenti pubblici. Non è che esiste anche, e soprattutto, il conflitto d'interessi dei privati?
  7. Separazione delle carriere, procedimenti disciplinari a carico dei magistrati...anche queste proposte sarebbero nuove, non fossero state il sogno proibito di tutta la maggioranza berlusconiana per 15 anni.
  8. Aria fritta, siore e sioriii, comprateee!
  9. Non si tratta di spendere meno per Università e Ricerca, anzi...occorre spendere meglio. Per spendere meglio, facciamo competere le Università fra loro: pensate che bello, ad esempio, un incontro di lotta greco-romana tra la facoltà di Ingeneria della Sapienza e quella di Lettere di Bologna!
  10. Il Vero Federalismo, capito? Mica quello dei rozzi legaioli, qua non si scherza, pareggio di bilancio o morte!
C'è poco da fare, questi sono così: adorano dare la colpa di tutto alla spesa pubblica, eccetto quella "buona" per "modernizzare il Paese" in stile Tav o ponte sullo Stretto.
Comunque sia, in bocca al lupo per  la vostra rivoluzione, cari liberisti alle vongole, buona distruzione dello Stato sociale a tutti!

martedì 24 luglio 2012

Le origini della crisi


Mentre le borse sono in subbuglio ed il famigerato spread si appresta a tornare ai livelli di Gennaio, credo sia opportuno buttare giù due righe per cercare di capire cosa sta succedendo. Di manualetti del tipo "crisis for dummies", nonché articoli e saggi in merito sul Web ce ne sono parecchi, ma volevo segnalare in particolare questo paper del prof. Alberto Bagnai dell'Università di Pescara, che svolge da ormai un anno una (IMHO) importante opera di divulgazione sul suo blog Goofynomics.
Pur non essendo un esperto della materia e non possedendo il tempo e le capacità di verificare tutte le fonti, ho trovato ben documentate le tesi del prof. Bagnai, in lievissima controtendenza rispetto alla vulgata attuale che si può riassumere (si fa per dire) leggendo le omelie domenicali di Eugenio Scalfari su Repubblica.
Alla base della crisi iniziata nel 2008, deflagrata con lo scandalo dei mutui subprime per approdare poi nel Vecchio Continente, secondo il professore starebbe l'accumulo di debito estero da parte dei paesi europei cosiddetti "periferici", tra cui i famosi PIIGS.
Il debito pubblico in questi paesi infatti, o meglio ancora il rapporto debito pubblico/PIL, sebbene consistente (in particolare in Italia), non è variato in maniera significativa negli ultimi 10-15 anni, mentre proprio con l'introduzione dell'Euro si è assistito ad un esplosione di debito prevalentemente privato, finanziato dai paesi centrali dell'Europa, in particolare dalla Germania.
Questo si può verificare controllando il saldo commerciale tra importazioni ed esportazioni negli ultimi anni della Germania stessa, verificando in effetti come un significativo incremento dell'export verso i paesi periferici abbia consentito, unitamente a politiche di repressione interna della domanda per mantenere le importazioni al minimo, un'espansione "mercantilista" a danno diretto dei debitori meno "virtuosi".
La moneta unica risulterebbe così un'ottima indiziata per quanto riguarda il peggioramento della bilancia commerciale dei PIIGS (a favore di quella tedesca) proprio negli anni successivi alla sua entrata in vigore.
Ora l'Euro, così come le politiche scellerate del governo Monti, fiscal compact su tutte, hanno l'effetto di un cappio al collo che si restringe, da un lato perché si gambizzano i risparmi ed i consumi privati per rinfondere il debito pubblico proprio nel momento meno opportuno e dall'altro perché non è possibile effettuare una qualsiasi politica monetaria ausiliaria, per esempio una maxi-svalutazione come quella avvenuta in Italia nel '92 (con buona pace dei terroristi).
Cosa si può fare nell'immediato? Beh, poniamo il problema ai nostri rappresentanti istituzionali eletti nella BCE e partecipiamo al dibattito. Come dite? Non ci sono eletti nella BCE? Uhm...Proviamo col governo italiano! Ah, no è vero anche lì nisba...
Appena mi viene una buona idea metto un post, non preoccupatevi.

mercoledì 27 giugno 2012

Lacrime di Polillo


Ci risiamo. Dopo il caos sugli esodati, gli attacchi all'art.18 e il salasso IMU, arrivano nuove chicche dal governo Monti.
Il sottosegretario all'Economia Polillo ha dichiarato che gli italiani lavorano troppo poco.
Ora, non è che facendo parte di un governo di supertecnici e facendo il sottosegretario all'Economia, Polilldebba sapere qualcosa di economia, sarebbe troppo.
Però potrebbe evitare almeno di sparare spacconate da bar (anzi no, non offendiamo gli avventori dei bar, che lo caccerebbero a pedate).
A me piace far parlare i numeri, per cui ecco i dati OCSE del 2010 sulle ore lavorate (per addetto) nei paesi UE:

OCSE ore lavorate per addetto 2010

Si noti come non solo in Italia si lavori di più che nei più ricchi paesi del Nord Europa, ma come in testa alla classifica ci siano i famigerati 'fannulloni' greci.
Polillo sostiene anche che il livello salariale sia troppo alto: ecco qui i salari medi lordi del 2010, a parità di potere d'acquisto:


OCSE salari medi per addetto 2010

I dati si commentano da soli e bisogna considerare che negli ultimi due anni la situazione è peggiorata:
per conferma, basta guardare i più recenti dati OECD.
A Polillo e al ministro Fornero, che dice che il lavoro va guadagnato, consiglio di guardare i dati meglio e magari ripassare qualche testo di economia aggiornato perlomeno al dopoguerra: imparerebbero che, come si evince anche dalle statistiche, è la produttività che fa la differenza, non la quantità di lavoro, tanto più a fronte di una disoccupazione alta come la nostra. Vogliono fare qualcosa in questo senso?
O invece l'unica idea che hanno per sviluppare l'economia è quella di far concorrere i salari dei lavoratori italiani con quelli cinesi, thailandesi e vietnamiti?
Nel caso, possono pure levare il disturbo.

lunedì 25 giugno 2012

Tasse, Lavoro e Squinzilie varie



Alcuni giorni fa, all'assemblea annuale di Confindustria, il neo-presidente Giorgio Squinzi ha affermato che la pressione fiscale sulle imprese è "intollerabile", tra le più alte al mondo.
Sbalorditivo! Ma che cosa intende Squinzi con il "68,5% di tassazione reale"? Il dato, riportato a pappagallo sui maggiori quotidiani nazionali, indicherebbero secondo i confindustriali e i loro sodali, che la tassazione è troppo alta, ed è quindi necessario "riformare il fisco": tradotto significa semplicemente meno soldi da pagare allo Stato per le imprese.
Ma andiamo a vedere i numeri a sostegno della tesi del buon Squinzi.
Egli si riferisce in realtà ai dati della World Bank 2011 ed il dato che menziona è riferito alla tassazione espressa come -Total tax rate (% of profit)-.
In sostanza, un'impresa italiana mediamente paga al fisco una quantità pari al 68,6% dei propri profitti.
In effetti la percentuale è alta, anche se siamo in buona compagnia: la Francia per esempio riporta il 65,8%.
Il problema è che in realtà il dato percentuale è piuttosto alto non perché il costo del lavoro sia alto, ma soprattutto perché da molti anni i guadagni delle imprese italiane sono in costante diminuzione.
Il costo del lavoro reale, in Italia, è di 26,8 euro all'ora,inferiore a quello dell'Europa a 17 (27,6 euro/h) , ed appena superiore a quello dell'Europa a 27 ( 23,1 euro/h) ( (dati Eurostat 2010).
Il dato tiene conto di retribuzione lorda (ovviamente la fetta più grande), tredicesima, TFR, ferie, eventuali straordinari e contributi sociali: non si scordi che spesso si parla dell'IRAP come di un balzello inutile, dimenticando che è grazie a quello che si contribuisce per circa il 40% all'assistenza sanitaria .
Il costo del lavoro reale è perciò basso, soprattutto considerando che nell'Europa a 17 vi sono paesi in cui il costo della vita è sensibilmente inferiore al nostro (come ad esempio Slovenia, Slovacchia, Grecia...).
Senza contare inoltre che nelle statistiche non si considerano le imprese con meno di 9 dipendenti, che in italia, sono molto di più che nei paesi UE: in queste, le retribuzioni sono ancora più basse.
E non viene considerato nemmeno il lavoro nero o l'evasione fiscale!
Perché allora, se il costo del lavoro risulta allineato alla media europea, le imprese del Belpaese faticano a tenere il passo? Perché manca la competitività?
I motivi sono molteplici, a partire da quelli macroeconomici, ma anche a burocrazia, assenza di una politica industriale decente, mancanza di investimenti in ricerca e sviluppo, carenza di innovazione e di sfruttamento del lavoro altamente qualificato.
E qui Squinzi, e con lui la classe dirigente dell'industria italiana, dovrebbe recitare il mea culpa spiegando come mai, negli ultimi venti anni, abbiano puntato tutto sulla delocalizzazione, il lavoro precario (a proposito, non doveva portare ad un aumento della produttività quello?) e la stagnazione dei salari, ora tra i più bassi in Europa.
Avanti così, il modello cinese ci salverà!